Il lavaggio della lana

Si può fare!!

Vi proponiamo in questo articolo un video sul lavaggio della lana: scoglio che abbiamo affrontato guidate dalla passione. Molti degli attori che ruotano attorno alla filiera della lana sono scoraggiati da questo passaggio, ma non abbiamo scelta visto che non lo fa più nessuno! Uno degli obiettivi di questo video è proprio quello di far capire alle persone che seguono e collaborano con la nostra associazione che il lavaggio può essere fatto da chiunque! Uno spazio all’aperto, buona volontà e la nostra esperienza possono portare ad ottimi risultati per autoprodurre manufatti in lana locale.

Buona visione!

Riepilogo dei passaggi da eseguire per lavare lana sucida:

  1. Cernita: per capire quali parti del vello vanno selezionate ci vuole un po’ di esperienza. La lana già durante/subito dopo la tosa si può dividere in prima e seconda scelta. Con la cernita inoltre si eliminano residui vegetali, terra, escrementi e parti corte del vello: è molto importante per facilitare poi il lavaggio e selezionare la fibra migliore. Poi il vello si squote per far cadere impurità e ciuffi di pelo corto. A mano si staccano le parti con escrementi, si tolgono foglie, paglia, rametti, semi grossolani.
  2. Lavaggio con ammollo. Prima di immergere la lana nell’acqua cerchiamo di “aprirla” delicatamente con le mani. A questo punto mettiamo questi “ciuffi” in acqua a 60°-70°C. Noi abbiamo calcolato circa 200 L di acqua ogni 5/10 kg di lana (dipende da quanto è sporca). Lasciamo in ammollo per 24-48 ore senza rimestare, ma eventualmente muovendo delicatamente con le mani.
  3. Primo risciacquo. Spostiamo la lana in un altro contenitore capiente con acqua pulita (indicativamente 100 L acqua  sempre a 60°-70°C)
  4. Lavaggio con lisciva di cenere. Riprendiamo la lana e la spostiamo in acqua pulita dove aggiungiamo 4 L di lisciva (sempre per 5/10 kg di lana). Portiamo a 90°C. Raggiunta la temperatura possiamo spegnere il fuoco e lasciare riposare un’ora.
  5. Secondo risciacquo. Spostiamo la lana in un contenitore capiente con acqua pulita (indicativamente 100 L acqua  sempre a 60°-70°C)
  6. Valutazione. Prendiamo la lana e la mettiamo in acqua pulita: se l’acqua rimane limpida possiamo proseguire con il processo, se si intorbidisce molto e diventa marrone ripetiamo dal lavaggio con lisciva.
  7. Aggiunta di aceto. Mescoliamo delicatamente e lasciamo in ammollo per un’ora.
  8. Stendere e asciugare. La lana va strizzata delicatamente e stesa ad asciugare in un posto ventilato. Servono almeno 24-48 ore. Quando è ben asciutta si può ritirare in scatole di cartone o contenitori/sacchi chiusi, ma traspiranti. Importante è l’utilizzo di sostanze antitarme.

Questa è la nostra esperienza e speriamo possa esservi di aiuto!

Con la lana recuperata possiamo ottenere…filato!

Vi presentiamo uno dei primi prodotti nati nella nostra Associazione.
Si tratta del FILATO DI PURA LANA TOSCANA VERGINE.

Filato grosso
Filato fine

 

 

 

 

 

 

 

Si tratta di un filato che per la maggior parte abbiamo ricavato da lana di prima tosa di pecora pomarancina, razza ovina valorizzata da un Consorzio. Per le lunghezze: 100 – 105m/hg di filato grosso e 285 – 290m/hg di filato fine. Per la lavorazione ai ferri suggeriamo i n.6-8 per il filato grosso e il n° 4 per quello fine. Ma come siamo arrivate a questo risultato? Il primo passo è stato quello di contattare gli allevatori e andare da loro a recuperare la lana sucida durante la tosa (operazione necessaria per il benessere dell’animale). E’ fondamentale selezionare il vello separando la lana più pregiata e più pulita dal pelo corto e molto sporco. Questo passaggio che si fa manualmente e per il quale serve una certa esperienza si chiama cernita. Il materiale ottenuto è abbastanza lontano da quello che poi sarà il filato: escrementi, pezzi di paglia e foglie, terra, semi e pelame grossolano (giarra) sono attaccati al vello delle pecore e con pazienza vanno eliminati con il lavaggio. Anche la lanolina, il grasso che protegge la pelle delle pecore, va eliminata attraverso questo passaggio. Noi lo facciamo esclusivamente con acqua calda, lisciva di cenere ed aceto. Quello che otteniamo sono fiocchi di lana lavata. A questo punto la lana viene cardata. Parte della lana viene cardata a mano con piccole cardatrici e parte di essa viene portata alla filanda Silio Giannini. Dopo la cardatura abbiamo finalmente il passaggio della filatura. Anche in questo caso riusciamo a filare a mano piccole quantità e la maggior parte del filato andiamo a recuperarla alla filanda Giannini. Ecco che la trasformazione è compiuta e il nostro filato in pura lana toscana è pronto per diventare ciò che desiderate!

E se non avessimo recuperato questa lana? Sarebbe diventata un rifiuto speciale, niente filato.

Se desiderate creare un manufatto con questo filato, ma non avete mai lavorato con i ferri o l’uncinetto rimanete aggiornati/e sui nostri laboratori! Inoltre potete partecipare con noi ad ognuno dei passaggi di questa filiera oppure creare la vostra piccola filiera con i nostri consigli!

Per il lavaggio di questo manufatto: lavare a mano con sapone neutro.Gli sbalzi di temperatura infeltriscono la lana, consigliamo quindi, per semplicità, di utilizzare acqua fredda.

Durante la tosa
Una tosata e una no
Cernita
Cardatura

 

 

 

 

 

 

 

Bud, Neri, Caramel e Chocolat

Francesca pensava agli Alpaca: “perchè tengano pulito tra gli ulivi, senza sciupare nulla, poi mi dicono che sono anche affettuosi”. Ma delle pecorelle? Ci sono delle razze nane, una conoscente ha le Ouessant, le rispondo. Da lì a poco mi annuncia entusiasta che ha trovato due Ouessant e due Skudde, come sono belle!

A maggio eccole alla tosa, con l’aiuto di un vicino pastore! 

Le suggerisco di tenere la lana sucida in una scatola di cartone o in un sacco di carta, che è traspirante, finchè si riuscirà ad incontrarci per consegnarmela: purtroppo quest’anno non si riesce a lavarla insieme, lo faccio io, tenendola informata di ogni passaggio.

Prima di tutto faccio una selezione (cernita) in base alla qualità della lana.

 

 

 

 

 

 

Quindi parto con il lavaggio, armata di pentolone, lisciva di cenere e aceto.

 

 

 

 

 

Si vede subito che è ricca di lanolina, ma con un paio di lavaggi e qualche risciacquo è bell’e stesa ad asciugare!

Purtroppo c’è tanto vegetale tra la lana: semi, cardi, forasacchi… Una parte l’ho separata prima del lavaggio (cernita), ma il resto va tolta, sempre a mano, nelle lavorazioni successive.

Stando a quello che mi raccontano, alla lana lavorata industrialmente, viene fatto un trattamento chiamato carbonizzazione, che consiste nel passarla in una soluzione di acido solforico e così tutte le impurità vegetali si dissolvono. Ma preferiamo fare a mano e, magari, tenerci qualche sana impurità, piuttosto di gravare ulteriormente questo mondo di inquinanti…o no?

Ma ecco la lana, pulita e cardata con una cardatrice a tamburo.

Che soddisfazione, il risultato mi piace talmente che inizio subito a filarla, rigorosamente a mano, s’intende. Nonostante io sia alle prime armi, la lanolina fa sì che il filo scivoli via, ogni momento libero dell’estate, e poi parte dell’autunno.

A novembre consegno il filato a Francesca, che si mette subito all’opera e, imparando ad usare l’uncinetto……

 

 

 

 

 

 

…prepara i regali di Natale per amici e parenti! Guardate che meraviglia:

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una parte della lana di scarto l’ha usata poi per decorazioni natalizie, impreziosendola con fiori secchi.

E una parte l’ha regalata ai bimbi di una scuola della sua zona, per fare un bel manto morbido alle renne!

Grazie mille, Francesca, di aver reso possibile questo piccolo grande passo verso un cambiamento.

Leda

 

Lana in Kit

Abbiamo conosciuto Elena Terenzi e la sua attività “Olivia robe da bimbi” alla Fierucola delle lane di San Martino a Firenze.

Incantate dal suo amore per la lana e dalla sua abilità nel trasformare un filato in un’ opera d’arte, le commissionammo un maglione spettacolare, copia di uno Irlandese che un affezionato sostenitore del nostro progetto ci aveva fornito come campione. Il risultato ancora oggi ci commuove, per la bellezza della lavorazione e per la poesia dei fili di progetti e vite che si intrecciano, originando qualcosa di caldo, armonioso e nuovamente appassionante.

Nel tempo, tra chiacchierate, confronti su materiali e problematiche di

lavorazione, il legame con Elena è cresciuto, trovandoci in assonanza sulle questioni che più ci stanno a cuore*, tanto che ci ha presentato un progetto: una serie di kit, ideati da lei e forniti di chiare istruzioni.

Elena desidera proporre ai suoi clienti lane toscane, lavorate artigianalmente e nella ricerca della sostenibilità…esattamente in linea con la ricerca svolta in questi anni da “il fuso recuperato ETS”!

Felici di vedere stimolata l’autoproduzione (che è una delle nostre finalità associative!) abbiamo affidato quasi tutte le nostre prove di lavorazione di filati ad Elena, per integrare e arricchire i suoi kit.

 

 

 

 

Con orgoglio, quindi, vi presentiamo:

Bolgheri, Volterra ed Amiata!

Per informazioni su colori disponibili e spedizioni contattate Elena

sul sito www.oliviarobedabimbi.shop

sulla sua pagina FB @oliviarobedabimbi

o su Instagram @olivia_knitwear

 

 

Nel contempo ringraziamo Elena per la sua dedizione ad un lavoro tanto prezioso e per il suo sostegno, sia morale che economico a “il fuso recuperato ETS”.

 

 

Tinture…ecologiche

Noi de Il fuso recuperato siamo molto curiose e sperimentiamo per capire fino in fondo i processi che interessano il settore tessile. Ci piace l’idea che l’intera filiera passi dalle nostre mani che alla sera sanno ancora di lanolina o di aceto o di fiori essiccati, terra, letame. Ci piace quando possiamo dire che un filato o un tessuto l’abbiamo realizzato interamente noi…l’abbiamo immaginato…e dopo un lungo viaggio è ora sotto ai nostri occhi. Ci piace dare attenzione a tutti gli attori di questo spettacolo: dare un ciuffo d’erba alla pecora che attende la tosa, curare minuziosamente la semina della reseda, coprire la testolina di un bambino con un cappello di lana fatto a mano.

I nostri gesti, le nostre scelte, sono dettate da un percorso che abbiamo deciso di percorrere insieme e che abbiamo riassunto nello statuto dell’associazione. Un aspetto che vorremmo condividere in questo articolo è la scelta delle materie prime per la tintura.

Due sono i motivi principali che hanno influenzato questa scelta: il primo è la passione che ci spinge a voler dire “l’ho creato io e ne ho sperimentato i passaggi”. Il secondo è legato ad una questione ecologica. Da Enciclopedia Treccani: “ecologia: studio delle interrelazioni che intercorrono fra gli organismi e l’ambiente che li ospita”. E ci chiediamo per assurdo: Quale interrelazione c’è tra una pecora pomarancina e un albero di campeggio che viene abbattuto in Messico o in Africa o in India? (La prima ci fornisce ottima lana per la nostra associazione e il secondo potrebbe fornire una brillante tintura viola…che noi però abbiamo scelto di non usare).

Provare a rifornirsi di tutte le materie prime per la tintura non è semplice, ma ogni anno sperimentiamo e facciamo passi avanti per capirne a fondo l’origine, le caratteristiche, le possibilità di coltivazione. La reperibilità delle materie prime in un ambiente il più possibile ristretto, vicino a dove abitiamo, ci spinge a studiare il paesaggio in cui viviamo, ad accontentarci dei colori che appartengono a questo territorio, a meravigliarci di quante specie vegetali tingono e a dedicare qualche ora ad una passeggiata o a una vigorosa zappata. Per ora non siamo interessate all’utilizzo di piante coltivate per l’alimentazione, legno di alberi esotici o prodotti dei quali non conosciamo la provenienza e la storia.

Fonti di materie prime per la tintura che utilizziamo:

  1. Coltivazione (robbia, isatis, poligono, cosmos, reseda, solidago)
  2. Raccolta spontanea (alaterno, mallo di noce, solidago)
  3. Scarti di alimenti (melograno, cipolla)
  4. Acquisto da altri fornitori (indaco da progetti sostenibili, robbia, reseda)

Per arrivare ad utilizzare materiali quasi tutti “nostri” possiamo dire di aver fatto una ricerca che dura da anni e da anni collezioniamo semi, parti di piante ed informazioni.

Non tutti hanno la possibilità, il tempo, lo spazio o semplicemente la volontà di esserci in ogni parte della filiera, ma la consapevolezza dell’origine dei materiali rientra in un discorso di sostenibilità che per noi sta alla base delle tinture naturali.

Cosmos sulphureus
Raccolta di capolini di Cosmos sulphureus

Chi semina raccoglie

La piante tintorie seminate ad inizio primavera e trapiantate nel piccolo orto sono arrivate a questa fase del loro ciclo: le annuali stanno seccando o portando a maturazione i frutti, le bienni si son fermate e le perenni continuano a fiorire.
Gran parte della reseda è andata in fiore ed è stata raccolta tagliandola dalla base ad inizio luglio. Per noi è stato un vantaggio visto che quest’anno volevamo principalmente occuparci della raccolta del seme. Durante tutta la fioritura è stata visitata da diversi insetti impollinatori tra cui tante api.
Infiorescenza di Reseda luteola
Il rigoglioso poligono sta portando a maturazione i suoi semi regalandoci ancora macchie di rosa tra il suo bel fogliame lucido.
Fiori di Polygonum tinctorium
Abbiamo raccolto i fiori del cartamo (operazione non semplice data la presenza di spine) e lasciato che le piante maturassero i frutti.
Fiore e frutti cartamo
La camomilla dei tintori è stata generosissima e continua a sorprenderci aprendo ogni giorno nuovi capolini dorati.
Cota tinctoria
In un’altro piccolo appezzamento anche il cosmos ci meraviglia con la sua produzione continua di capolini dai colori brillanti che vanno dal giallo all’arancio scuro screziato di rosso.
La Solidago canadensis inizia a fiorire coi suoi pennacchi gialli.
Il guado ormai infesta una piccola area regalandoci ciclicamente nuvole di fiori gialli e di silique violacee che oscillano al vento.
Stiamo facendo incetta anche di piante spontanee simili alla camomilla dei tintori come Glebionis coronaria, Glebionis segetum e Coleostephus myconis e raccogliendo la corteccia (quella che si stacca e cade in terra) dell’eucalipto per fare prove di tintura.
Per ora possiamo ritenerci molto soddisfatte perchè in poco spazio e con i disagi dati dalla limitazione degli spostamenti, siamo riuscite ad avere un po’ di materia prima per le tinture e il seme necessario per le semine autunnali e primaverili.

Studio e coltivazione delle piante tintorie

Quest’anno eravamo prontissime, grazie ad un piccolo vivaio improvvisato, per fare la prima vera prova di coltivazione di varie specie tintorie. I semi li abbiamo trovati qua e là, scambiando, raccogliendo.

Data la situazione, il campo destinato a questa sperimentazione, si riempirà di rigogliose infestanti e si riposerà.

Abbiamo messo in un piccolo orto alcune piantine che ormai necessitavano di essere trapiantate e che manderemo “a seme” così per il prossimo anno la primavera ci troverà preparate!

Ricordiamo che le piante tintorie sono moltissime: alcune storicamente più usate e coltivate, altre reperibili in natura altre ancora si trovano probabilmente della nostra cucina. Foglie di carota, bucce di cipolla dorata, bucce di melograno (ora un po’ fuori stagione…), possono essere materie prime preziose per la produzione di colori vivaci e stabili. Non ci sono più scuse per non sperimentare e sfruttare queste giornate lente e casalinghe…ora poi che spediamo anche la nostra lana…!!!

 

Quanta lana serve per….?



Se vogliamo procurarci da sole/i la lana per autoprodurci (o farci produrre da artigiane/i di nostra fiducia) gli abiti e gli oggetti che ci servono, teniamo presente che, in generale:
1- lane con fibre più grosse sono adatte alle imbottiture (di cuscini o materassi, per esempio) oppure all’infeltrimento per la produzione di oggetti resistenti a sfregamento, torsione e tensione (come scarpe, borse, vasi, pacciamatura, ecc.)
2- lane più fini risulteranno più piacevoli da indossare, più morbide al tatto
3- la quantità di filato o ovatta che ci servono per produrre l’oggetto che vogliamo, va raccolta sucida (cioè appena tosata, ancora sporca) in misura di almeno il doppio in peso, perché tra lavaggio, cardatura e filatura, se ne può perdere anche il 60%.

Quanto filato per….?

N.B. i pesi variano a seconda delle taglie e delle lavorazioni (intrecci o altro)
Una berretta: tra 100gr e i 200gr
Una sciarpa: tra i 250gr e 400gr
Un maglione: tra i 500gr e 1200gr
Un paio di calzini: tra 100gr e 200gr

1mq di tessuto per giacca o pantalone:

Quanta ovatta per….?

Un paio di pantofole: tra 200 e 400gr

Un paio di ciabatte da camera: tra 50 e 150gr

Una lanterna o un vaso piccolo: tra 10 e 50gr 

Una borsa piccola: tra 100 e 300gr
Una borsa grande: tra 250 e 500gr

Un tappeto di poco meno di 1m per 1,5 circa va da 1 kg a anche 2kg

Sorprendente lana

Ho trovato tante informazioni riguaro le proprietà fisiche della lana sul sito www.latineola.it  ne riporto alcune particolarmente interessanti, ringraziando Anna Pecoraro per la libera condivisione.

“Se si osserva una fibra di lana al microscopio si può notare come assomigli a una pigna. La sua struttura esterna infatti è un rivestimento di scaglie sovrapposte fra loro come le tegole di un tetto, fatte di una sostanza proteica detta cheratina. Quasi la stessa sostanza presente anche nei capelli e nelle unghie.” Questa struttura fa sì che le fibre di lana si leghino durante la torsione della filatura. Anche durante le operazioni di infeltrimento ad acqua sono le scaglie esterne che si aprono con acqua calda e sapone per agganciarsi le une alle altre, dando al “tessuto non tessuto” una resistenza eccezionale.

“Sotto il rivestimento esterno le cellule formano una struttura detta a mattoni e calce, perchè ricorda molto da vicino quella dei muri. Struttura che rende la fibra molto robusta. Alcune lane di minor finezza, oltre alla cuticola esterna e alla corteccia interna, contengono un midollo centrale molto poroso; la fibra che ne risulta è più leggera e assai più gonfia. La lana è la fibra più igroscopica che esista, è cioè in grado di assorbire vapore acqueo fino a un terzo del suo peso senza dare la sensazione di bagnato. Questo succede perchè la fibra è composta di aminoacidi in grado di attrarre e incorporare molecole di acqua nella struttura della fibra stessa, a differenza per esempio della spugna, che ha un assorbimento di natura capillare.
Quindi in caso di clima umido o di intensa sudorazione, la lana attiva un processo di traspirazione per cui assorbe l’umidità e la restituisce all’ambiente.
Così un tappeto o una moquette di lana possono servire a regolare l’umidità di una stanza e a prevenire che l’umidità di bagni, lavaggi e cotture deteriori la tappezzeria o l’arredamento; un capo di abbigliamento in lana assorbe momentaneamente il sudore e poi lo trasferisce all’esterno, fornendo così una termoregolazione.
Allo stesso modo un cappotto di lana, esposto a temperature fredde, comincia ad assorbire umidità e anzichè raffreddarsi aumenta di 2-3 gradi la sua temperatura: questa reazione ritarda fino a 4 ore il raffreddamento del tessuto, dando modo al corpo umano di adattarsi gradualmente alla nuova situazione ambientale.
Visto che la lana ha un potere di assorbimento così elevato, perchè non ci sono, per esempio, asciugamani di lana? Semplice: la lana assorbe il vapore acqueo, ma non l’acqua e quindi è idrorepellente . La materia cerosa e grassa che riveste le fibre e che non viene eliminata neppure dai solventi usati nel lavaggio a secco, rende la lana repellente ai liquidi.
La lana si rivela più resistente allo sporco, soprattutto alla polvere. Ciò è dovuto alla sua scarsa elettricità statica: cioè ne accumula poca e di conseguenza attira poca polvere. Questa qualità della lana si può constatare ogni volta che si passa l’aspirapolvere sul tappeto o sulla moquette. Sono proprio le scaglie che rivestono le fibre di lana a impedire che la polvere penetri a fondo: un trucchetto che serve alla pecora per non sporcare il suo pelo e agli esseri umani per rimuovere la polvere in fretta, con un semplice aspirapolvere.

Ma la principale caratteristica della lana è quella di tenere caldo, cioè di avere un elevato potere di isolamento termico. Ma, qui sta la straordinaria qualità della lana: l’isolamento è possibile sia contro il freddo che contro il caldo.
I beduini del deserto sopportano di giorno le temperature più elevate del mondo e di notte il freddo del deserto proteggendosi con un barracano di lana.” Oltre a non rilasciare microplastica al lavaggio come il pile, la lana è anche versatile! “L’isolamento termico di un tessuto è in sostanza la quantità di aria che le sue fibre riescono ad intrappolare: più aria catturano, maggiore è il potere isolante. Mediamente un tessuto per l’abbigliamento si compone per tre quarti di aria e per un quarto di fibra, mentre in una coperta di lana si trova solo un 10 per cento di fibra contro un 90 per cento di aria.
Le scaglie della lana danno alla fibra una certa ruvidezza e con i loro interstizi ne aumentano la superficie. Il risultato è che le fibre di lana riescono a immagazzinare e a trattenere una maggiore quantità di aria.”

“C’è anche da dire che la lana possiede un elevato potere ignifugo: prende fuoco con difficoltà, non propaga la fiamma, sviluppa poco calore e poco fumo. Ma soprattutto non si scioglie, evitando così pericolose ustioni da materiale incandescente.
Per questo motivo sono in genere di lana i tessuti d’arredamento che rivestono aerei, treni, pullman, cinema e locali pubblici.

La resilienza, ossia la capacità che ha la lana di ritornare allo stato originario anche dopo una pressione prolungata, la si può constatare osservando come l’impronta di un grosso mobile sulla moquette scomparirà poche ore dopo che lo si è spostato. Così pure non occorre fare molta fatica per stirare un capo di lana. Quando viene a contatto con il calore, e in special modo con l’umidità del vapore, la cheratina contenuta nella lana subisce dei mutamenti chimici, diventa più facilmente deformabile e dunque più docile alla stiratura. Non appena cessa l’azione del vapore i legami chimici si ricostituiscono e il tessuto assume la posizione data con il ferro da stiro.”

Se lungo il processo di lavorazione viene trattata con sostanze biodegradabili e non mescolata a fibre sintetiche, alla fine della sua utilità tessile la lana è anche compostabile. Si può utilizzare anche per pacciamature, scegliendo accuratamente le zone dove posizionarla, oppure infeltrendola e creando dei “pannelli” che si possano spostare agevolmente, perchè impiega comunque tempo per disgregarsi, quindi potrebbe intralciare i lavori di fresatura. 

Ricapitolando: resistente, igroscopica, traspirante, idrorepellente, produce scarsa elettricità statica, isolante, ignifuga, resiliente, compostabile… ..davvero sorprendente!

Leda